Federico De Leonardis | Album





Studio Maffei Milano è lieto di presentare “Album”, prima personale in galleria dello scultore milanese Federico De Leonardis. In mostra, una selezione di opere dal 1976 al 2012. Nella sua concezione di artista come testimone e portatore di memoria, De Leonardis presenta semplici oggetti: i fili a piombo, le braghe e le catene sono originariamente strumenti di lavoro e di cantiere, su cui si sedimenta, però, una memoria intesa come energia fisica e psichica accumulata attraverso l’uso e la fatica. La dimensione del lavoro, inteso come vissuto di lenta costruzione, come fatica e rischio, ritrova in De Leonardis un valore umano e culturale forte. Altro aspetto cardinale nella produzione storica dell’artista è la relazione tra lo spazio visibile – in cui egli interviene attraverso l’atto poietico della collocazione – e lo spazio invisibile, potentemente narrativo, che le opere stesse creano nello sguardo del fruitore. De Leonardis si rivolge direttamente a noi, ci chiede di chiudere il cerchio, di completare l’opera: ed ecco i timbri e le tagliatelle, poco più che tracce – indizi - di quella dimensione indicibile e sommersa che sostiene il visibile.  

Anna Siccardi

È stata per me una grande e inaspettata gioia poter entrare nel complesso universo artistico di Federico De Leonardis, dove le forme diventano delle proposte prima di tutto percettive e poi, non necessariamente ma eventualmente, progettuali. Tutto il suo lavoro è basato su quest'analisi introspettiva dei mezzi e dei fini della percezione come coscienza dell'essere. L'essere di De Leonardis è di natura heideggheriana: il Das Sein è il suo design (inteso nel senso originale della parola inglese), è la matrice strutturale di un lungo e complesso circuito esistenziale. Grazie a lui ho capito che lo spazio, Der Raum, la conoscenza è la manipolazione possibile dello spazio: infatti non si può rappresentare, ma presentare, la differenza è sostanziale, nella verità della sua  apparenza..

Pierre Restany 

Biografia
De Leonardis è un architetto di formazione che, nella sua lunga e complessa pratica artistica, ha sempre mantenuto uno stretto rapporto con l’architettura, da lui intesa come pre-esistenza su cui intervenire e dove poter sviluppare, collocandoli, i suoi lavori; tra le sue installazioni permanenti, Fessura e Contravvento I (a Sesto S. Giovanni), Fessura e contravvento II e Muri II (a Peccioli). Tra le numerose mostre e collaborazioni, De Leonardis ha lavorato con Galleria Continua (dal 1994 al 2001) ed esposto in vari contesti. Tra le sue ultime mostre, ricordiamo “A latere” (Maria Cilena Arte Contemporanea, Milano, 2006), “Polemos” (Castello di Gavi, 2006), “Firmamento nero” (Fondazione Cini, Venezia, 2008), “Nostalgie” (Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce, Genova, 2008), “Palinsesti” (San Vito al Tagliamento, 2008).

La Tagliatella

Seduto a un cavalletto, poco meno di quarant’anni fa (1975), avevo capito che non esiste alcun legame di necessità immediata fra l’esterno, quanto vediamo di fronte a noi, e indirettamente quindi l’accidente, l’altro, in una parola il fuori, e il dentro. Allora ho rovesciato gli occhi e chiuso con ogni forma di Rappresentazione: Piero e Paolo, i due amatissimi apostoli, erano morti. Non mi rimaneva che una terribile agitazione.Così ho steso davanti a me dei fogli bianchi 70x100 e con un gesso nero tentavo di calmarla. Ma, mi rendevo conto, stavo ripercorrendo una strada aperta sessant’anni prima e finita cieca. Quindi, per sfondare quel muro in fondo cercavo prima di comprimere l’agitazione, essenzializzarla, ridurla alla sua necessità, e poi di tradurla in occhio per gli altri. Ma tra questo prima e questo poi si frapponeva ingombrante l’acufene mentale, il chiacchiericcio interno che non ci abbandona mai: rapidissimo, subdolo, agguata la nostra spontaneità senza darci respiro. Finché non ne possiamo più e scoppiamo. Esattamente: deflagriamo a una velocità tale da non essere raggiunti da quell’assassino.Ma qui sta il punto: il grido va governato e tra il polo d’attrazione esercitato dall’esasperazione, solo espressione di stomaco, e quello del compiacimento della coscienza di se stessi, la calligrafia, si colloca l’opera d’arte, quel miracolo che si raggiunge raramente e ti lascia esausto.Il resto è conseguente. Lavorando per raggiungerla, mi rendevo conto che cresceva in me una forza centrifuga, letteralmente: la mia mano veniva calamitata dai bordi del quadro, l’orizzontale-verticale della sua essenzialità, e finiva all’esterno. Il balletto fra il fuori e il dentro faceva salire alla coscienza la conseguenza della fuga dalla rappresentazione rinascimentale: fuggire il centro creava un’altra forma di sguardo, quello che può essere espresso solo approssimativamente dall’aggettivo periferico. Così nel 1977 nasceva la Tagliatella: il muro in fondo al vicolo era caduto e si apriva davanti una nuova strada, respiravo. Ma l’occhio, il mio, il tuo, quello di tutti, non si è formato altrove? non appartiene solo a se stesso? ‘Sguardo periferico’ va bene, ma segno anche lui, un segno che deve confrontarsi con tutti quelli venuti prima, contenerli e superarli. Un Segno. Appoggiandomi a questo bastone con la mano sinistra, la vergine, mi sono incamminato a cercarlo nel vuoto che avevo creato e quarant’anni dopo sono ancora in marcia. 

La Scultura

Ma lo è già la T.  Fatta di pieghe, per scandire lo spazio a sua disposizione e all’occorrenza accantonare anche il suo modesto ingombro visivo, cerca di colloquiare con il muro a cui è appesa e mal sopporta vicinanze. Però mi son chiesto: bene la carta, la leggerezza, ma il corpo, il peso, la terra? Il Tempo della Terra? L’ambiente che ti ospita? L’architettura che è la tua origine?
Allora ho sgomitato lo spazio, ho cercato di espanderlo, aprirlo, capendo che per quanto facessi incappavo sempre nel Tempo, che già con la Musica per sordi della T. avevo sconfitto, ridotto all’osso di un secondo, un secondo e mezzo.
Il Tempo è memoria, ciò che sta dietro un muro e ti dirige coi suoi fili invisibili, è l’eterna ossessione di tutti: la nostra morte e ancor peggio la morte dei nostri cari. Che altro è la Musica se non il tentativo di dimenticare il suo inesorabile scorrere, producendo un corpo fisso, un qualcosa a cui non puoi togliere neanche una nota senza farlo precipitare? Sì, perché i piani inclinati della vita lì vanno a finire, a terra, mentre il tic tac di Cronos prosegue inesorabile il suo corso. Sembra tutto molto semplice, banale anzi, ma è così: cerchiamo la Musica a frenare l’andazzo che ci impone il Grande Architetto, ma ci riuscirà? 

Federico De Leonardis per "Album" - Studio Maffei Milano - febbraio 2012